venerdì 25 luglio 2008

La scultura "classica" greca I, Policleto da Argo; V sec. a.C.

Già dal periodo severo gli scultori greci hanno come punto di riferimento la ricerca dell'equilibrio del corpo. Nel periodo Classico a raggiungerlo sono due grandi scultori: Policleto da Argo e Fidia.
Di policleto da Argo è rinomatissimo il Doriforo ovvero il portatore di lancia. La statua, a noi pervenuta tramite magnifiche copie marmoree romane (le statue greche erano di bronzo), è un esempio di equilibrio e perfezione anatomica, non a caso tutto ciò viene prima dell'opera di Policleto viene detta arte prima del Doriforo.

Iniziamo ad analizzarlo brevemente anche grazie ad alcune immagini.
L'equlibrio nasce dall'utilizzo di un Canone, un modo efficentissimo di dare le proporzioni a sculture o templi usatissiomo dai graci. Per Policleto la testa doveva essere 1/8 dell'intero corpo. Infatti se la testa è l'unità, il busto doveva essere 3 teste e le gambe 4; da qui 1+3+4=8. Il Doriforo, del 445 a.C. circa rispecchia perfettamente il canone e si dimostra quindi un' opera di perfezione.
L'atleta poggia sulla gamba destra (gamba portante), l'altra invece è leggermente flessa e spinta all'indietro. Consecutivamente il bacino si alza a destra e si abbassa a sinistra, e la spalla destra si abbassa mentre quella sinistra si alza come si può vedere dallo schema a lato.
Un'altra caratteristica scultorea è il chiasmo, dalla lettera chi graca che si scrive come una X. Come si nota dalla figura a destra sono uniti da lineeche si incrociano il bacino destro con la spalla sinistra e il bacino sinistro con la spalla destra. La prima linea unisce gli arti che compiono un azione, infatti la gamba è quella portante e il braccio si flette verso l'alto portando la lancia. La seconda linea unisce invece gli arti a riposo, infatti la gamba e rilassata come lo è il braccio.
Basate sul canone testa=1/8 del corpo e sul chiasmo, sono anche altre famose sculture di Policleto come il Diadumeno ovvero colui che si cinge la testa e l'Amazzone ferita entrambi posteriori al Doriforo

mercoledì 23 luglio 2008

Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, "Seppellimento di Santa Lucia", 1608, olio su tela, 408x300; Siracusa, Basilica di Santa Lucia al Sepolcro

Cosa succede quando una pala d'altare seicentesca rimane per quattro secoli appesa ad un muro di una chiesa in un paese di mare del sud? E' il più totale deterioramento. Mi vengono in mente tele forse settecentesche, di scarso valore, che qui ad Augusta in Chiesa Madre hanno orami perso quasi totalmente il colore e le figure sono difficili da identificare.
Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, evaso e ricercato, arrivò a Siracusa agli inizi del 1600, accolto dal vecchio amico Minniti. Del suo passaggio ne è traccia un meraviglioso dipinto, vanto non solo della città ma anche di tutta la regione. E' il Seppellimento di Santa Lucia, patrona della città. La tela venne collocata come detto sull'abside della chiesa di Santa Lucia al Sepolcro e, come una qualsiasi pala d'altare è stata vista, guardata, osservata migliaia e migliaia di volte dai siracusani, forse, inconsapevoli di vedere, guardare, osservare e ammirare un'opera d'arte del più grande pittore del primo barocco di tutto il mondo.

La tela ferma il momento del funerale della martire siracusana; in primo piano gli escavatori che iniziano a scavare la fossa. Nello spazio che vi è tra di essi, più indietro è il corpo della Santa. Guardando attentamente si può notare sul collo il segno della decapitazione. Ancora più indietro sono gli astanti alla cerimonia; le loro piccole dimensioni sono in contrasto con l'ampiezza della parete spoglia rotta solo da un arco cieco (il che fa collocare la scena o alle catacombe o alle latomie di Siracusa). La luce rende drammatica la scena, non è rappresentato il momento glorioso, ma un momento di puro carattere terreno: quello di un funerale. Il suo sentimento interiore, evaso e oppresso dal timore di essere ucciso, lo spinge a rappresentare con più patos momenti di morte e tragici.

Deteriorata per secoli, nel 1971 la tela fu trasferita al Museo di Palazzo bellomo. Solo dopo accurati lavori di restauro e di miglioramento della deumidificazione dell'interno della chiesa, il dipinto è potuto tornare nella sua originale ubicazione. Rimane quindi una tipica pala d'altare col fascino dell'opera d'arte.

lunedì 21 luglio 2008

La pittura romana

Conosciamo tutti l'arte romana per la maestosità e bellezza dell'architettura. Archi, anfiteatri, templi e monumenti trionfali. Da ricordare sono anche gli enormi palazzi reali (su tutti la Domus aurea neroniana), e ville private. Ecco proprio in queste due ultime costruzioni si è sviluppata la pittura ad affresco romana.
E' da premettere che il patrimonio degli affreschi romani e quindi uno studio approfondito degli stili di pittura è possibile grazie all'ottimo stato di conservazione degli affreschi delle domus romane di Pompei ed Ercolano, seppellite dalle ceneri dell'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C..
La pittura romana si può dividere in quattro stili:

- Primo stile o a incrostazione (II sec.-I sec. a.C.). Consisteva nel dipingere lastre di stucco ad imitazione del marmo, che comunque rimaneva un materiale costoso. Usato soprattutto nel mediterraneo, si poteva trovare facilmente nelle case modeste. Un esempio è la Casa di Sallustio a Pompei (foto a lato).




- Secondo stile o dell'architettura prospettica (I sec. a.C.). Consisteva nel simulare qualsiasi tipo di elementi architettonici: colonne, lesene, archi, ecc.. Molto spesso alla base vi era uno zoccolo ad incrostazione.
A lato vi è la Villa di Poppea dove le pareti dei cubicola sono interamente affrescate con prospetti di palazzi.




- Terzo stile o della parete reale (I sec. a.C.-I sec. d.C.). Era a carettere decorativo. Gli affreschi infatti potevano sia riprodurre architetture ma anche qualsiasi decorazione. Particolare è la Villa di Livia o Villa delle galline bianche (a lato) dove le pareti sono decorate come se fosse un giardino.







- Quarto stile o dell'illusionismo prospettico (I sec. d.C.). Si serviva delle prospettive del terzo stile ma molto più fantasiosamente. La decorazione è sovrabbondante e ciò dilata la stanza all'infinito. Significativa è la Casa dei Vettii a Pompei (a lato).

venerdì 18 luglio 2008

Castello Maniace; Siracusa; XIII sec.

Inizia col Castello Maniace di Siracusa il nostro percorso nell'arte, un lungo percorso che ci porterà dalla preistoria al '900, dall'archeologia all'architettura militare.
Come militare è l'architettura del Castello Maniace, edificato da Riccardo da Lentini nel periodo tra il 1232 e 1240 per ordine dell'imperatore Federico II. Il nome Maniace deriva da un comandante bizantino che li fece costruire una torre.
Il castello è un quadrato di lato 41 metri con agli angoli quattro torrioni cilindrici. Tra i castelli svevi della costa orientale della Sicilia (oltre Siracusa vi sono a Catania ed Augusta) è il più piccolo ma forse il più bello. Semplice nella geometria esterna e decorato all'interno.
L'accesso si ha attraverso una grande porta ogivale alta 8 metri e larga 5. Originariamente l'interno non presentava divisioni tra le campate ricoperte da crociere costolonate, ma con le necessità di modernizzazione difensiva, gli spagnoli non solo lo circondarono da bastioni e cammini coperti, ma ne modificarono l'interno. Qui il confronto tra le due piante:

iiiiiiiiiicccccciiiiiiPrimaiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiDopo

Si può certamente notare la perfezione geometrica della struttura, tipica delle fabbriche (soprattutto i castelli) federiciane (esempi sono proprio i castelli di Siracusa, Catania, Augusta e Andria).

Gli archi delle volte costolonate sopravvissute sono generati da colonne e semicolonne con magnifici capitelli con crochet raffiguranti foglie di giglio, foglie d'acanto ma anche figre umane o di mostri.
Abbiamo detto prima che l'esterno è parecchio semplice geometricamente, ma affascinante per alcuni particolari. Il primo è il grande portale ogivale finemete decorato su i cui capitelli vi erano posti una volta due arieti di bronzo ora conservati al museo di Palermo. La grande finestra simile al grande portale, che forse era in precedenza una bifora. E infine la tecnica di costruzioni a blocchi di pietra calcarea e non il solito opus incertum di altre costruzioni sveve come il Castello Ursino di Catania; altre costruzioni sveve siciliane di questo periodo presentano lo stesso metodo di costruzione a blocchi che fa pensare influenze cistercensi (un esempio è la Basilica del Murgo ad Agnone che ha anche parecchie somiglianze al Castello Maniace).
Aperte sui quattro lati 15 finestre e feritoie che permettono l'entrata della luce.
Nonostante le vicende e le manomissioni, il castello si mostra ancora con l'austera eleganza dell'architettura sveva. Si notano infatti le grandi manomissioni interne tra cui la mancanza di costoloni. Sono però sempre minime rispetto alle manomissioni del castello di Catania e ancor più di quello di Augusta, che chissà potrebbero esser ogetto di discussione futura nel blog.

Esterno del castello con il grande portale ogivale (su)
Interno del castello con le colonne e le volte a crociera costolonate (basso )

Particolare del capitello a crochet (destra)





Notizie tratte da: http://www.stupormundi.it/, it.wikipedia.org